in fondo - in the end

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06 October 2007

ubertosa città padana

<<Lascia stare le cazzate, mi dice, e rispondi: te alle cose che ti ab­biamo raccontato c'hai creduto sul serio?

Quando mi fanno certe domande è come se mi crollasse il mondo addosso. lo, come ho cercato di spiegare, sono cresciu­to in malinconico romitaggio in una dimensione di esistenza te­tra, nel cuore di una cittadina ubertosa della pianura padana d'alta classifica come qualità di vita urbana, piena di gente di alto livello sociale che nei rapporti interpersonali non sempre è facile misurarsi. Se passate di lì una volta ve ne accorgete subi­to, a guardarvi intorno, gente a modo, elegante e orgogliosa, donne dai venti ai cinquanta con dei sederi perfetti, che ci son di quelle palestre idrogym che ti fan dei miracoli, uomini cin­quantenni che a parte qualche ruga e un po’di pancia assomi­gliano a dei ventenni, con la tinta che sembrano ancora biondi per davvero, con i pantaloni giallo senape o rosso corallo, che van di moda, le polo con su l'ornino a cavallo che gioca a polo, le hogan chiare o scure -le hogan, se non lo sapete, sono delle scarpe - le biciclette DEI con i freni a bacchetta - DEI è la cele­bre marca delle biciclette - con di quelle boutique di pantaloni gialli e rossi, di hogan e di DEI che voi non ve lo immaginate ne­anche, e delle macchine lunghe per sempre. E poi di quelle messe festive con un’affluenza di pubblico di fedeli che sembra di essere allo stadio di futbol, con certe offerte durante l’offer­torio che al prete delle volte gli prende il nodo alla gola: mi han detto che è una cosa impressionante.

Io, in questo contesto, come si dice, alle volte mi sento un po’ lo scemo del villaggio. Anzi è dura ammetterlo, e lasciamo stare quando ero a scuola che certi rinomati professori lo face­van capire a mia mamma alle udienze, ma per un 60-70 per cento mi sa che lo sono proprio, lo scemo del villaggio. Non parliamo dei soldi che lì poi si va su un terreno molto acciden­tato. Per esempio: io c'ho due o tre polo prese all’oviesse con su il cavallo uguale a quello delle polo che dicevo prima, però solo il cavallo, senza il fantino in groppa che tira il colpo. Bel­lissime, pratiche ed economiche. Be', voi non vi potete nean­che immaginare quante volte mi han chiesto, con l'arguzia ta­gliente tipica delle città di benessere, se l'ornino si era fatto male a cader da cavallo, oppure come sta il fantino e se sono andato a trovarlo in ospedale; c'hanno un occhio a osservare le cose, i particolari, qui nell'ubertosa città padana, che c'è da rimanere increduli. E le scarpe poi, le compro al grande bazar della calzatura, delle volte ci va l'Emilia a comprarmele, che si compra bene con un bell'assortimento anche se si vede subito che non sono scarpe di boutique e neanche le scarpe eterne di Leni Pfeiffer in Foto di gruppo con signora, ma fanno la loro figura e soprattutto il loro mestiere.
Io dico che per fortuna che ci sono i reparti abbigliamento all'upim e all’oviesse e grandi bazar delle calzature che io se no girerei nudo e scalzo che il coraggio di entrare in negozi gene­re boutique io non ce l'avrei neanche.
C'è della gente invece, qui nella città ubertosa, che quando entra nei negozi genere boutique, sembra che è arrivato il du­ca Galeazzo Visconti o il papa Paolo III Farnese o Carolina di Monaco, che poi magari li inculano a sangue tutti e tre ma fa lo stesso e son tutti contenti. Questo è il benessere. E ho letto un libro di un abate del seicento che a un certo punto dice:


Il lusso è assai simile al fuoco, può scaldar­ci come consumarci. Se da un lato manda in rovina intere dinastie, dall'altro mantie­ne in vita le nostre fabbriche. Divora i beni dello scialacquatore ma dà lavoro anche ai nostri operai.


E dopo aver letto questa frase, che tra l'altro all'abate Co­yer, si chiama così l'autore della frase, gliel'ha rubata Montes­quieu cent'anni dopo quando dice: senza lusso s'inceppa tut­to, se i ricchi non spendono a piene mani i poveri moriranno di fame, dopo aver letto quella frase io a ringraziare il cielo di vivere in un’opulenta città padana d'alta classifica di benesse­re con le polo con omino plastico in groppa al cavallo, le ho­gan, le DEI, le braghe rosse e gialle da uomo, i culi delle don­ne scolpiti in palestra idrogym, le porsche e le bmw e le station wagon per la moglie eccetera eccetera.
Ora, in questa situazione di emarginazione e inadeguatezza cronica in cui mi trovo da sempre, il romanzo storico di millesei­centosessantuno cartelle con appendice sin ottica, oppure, dopo la dispersione del manoscritto sulla puntovan, il romanzo stori­co sintetico, potrebbe rappresentare la mia personale rivincita, il mio riscatto sociale. Cioè, dopo le recensioni e le interviste per chiedermi con quale eroe m'identificavo, e dopo le lezio­ni fatte a quattro mani all'università di Harvard o di Prince­ton con Umberto Eco che passeggia con me fra boschi narra­tivi con un quaderno bellissimo che spunta dalla giacca di tweed, io magari potrei continuare a indossare le mie polo con il cavallino senza l'omino o le scarpe del grande bazar della cal­zatura o i jeans di sottomarca, ma sarebbe già tutta un’altra co­sa, una scelta di stile: e nelle recensioni direbbero, l'autore del­l'opera, la cui frugalità balza già all’occhio nel vestire e cose così. Praticamente mi trasformerei in un avverbio tipo sobria­mente.>>

[da Paolo Colagrande, Fìdeg]

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