in fondo - in the end

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06 April 2007

l'aula

È un’aula del primo piano della scuola media statale di *** in provincia di °°°. Sono le ore 20:00 scattate proprio adesso. Gli allievi sono impegnati in un compito in classe. L’aula è piuttosto spaziosa, di forma quadrata. Le due finestre larghe con tre vetri ognuna si affacciano ad ovest. Sotto le finestre troneggiano due larghi radiatori verniciati ormai qualche anno fa di un colore che ricorda uno zabaione pallido, completamente avulso dal resto delle tinte dell’ambiente. Le pareti sono colorate fino ad un metro e mezzo da terra con una fascia verde scuro, decorata a sua volta da quadrati di trenta centimetri di lato riempiti di colori sgargianti. La fascia colorata è separata dalla parte superiore della parete da una listarella di legno che ha anche lo scopo di sostenere cartelloni, disegni ed altri addobbi o avvisi. La porta si apre vicino all'angolo nord nella parete orientale e subito a destra sono appese due lavagne, una liscia ed una quadrettata, che a loro volta sorreggono maldestramente per tutta la loro lunghezza le mensoline portagesso in legno ricoperto di formica. Appena entrati ci si imbatte nella cattedra, che fortunatamente non appoggia su alcuna pedana, ma domina ugualmente la classe occupando una posizione perfettamente centrale. Oltre ad essa, nell’angolo vicino alla finestra più settentrionale sta un triste armadio di metallo con ante scorrevoli, ingentilito da un’ impacciata ma non per questo inutile colorazione verde e rossa; sul suo fianco è stato appeso un calendario che mostra il mese di aprile e pubblicizza una nota libreria della città; contiene sette o otto scaffali occupati da numerosi libri, che sembra siano a disposizione degli studenti, ma non pare abbiano un ordine di sorta. Nella parte superiore, bianca, delle pareti, campeggiano ad est l’Europa politica aggiornata e l’Italia politica suddivisa in regioni, con ancora purtroppo la grande area bianca della Jugoslavia (meglio di niente); a sud invece un planisfero double face, fisico e politico insieme, a seconda del lato da cui lo si gira quando faticosamente ci si abbarbica sulla seggiola dell’ultimo banco (naturalmente i due terzi dell’altezza sono dedicati all’emisfero boreale, mentre l’australe è relegato nel terzo restante). I ventidue banchi, con il piano in legno chiaro, il sottobanco e le gambe in metallo verniciato di blu carta da zucchero, sono appaiati e disposti su tre file; sono rivolti a nord. Dal lato frontale di ognuno di essi sporge un gancio metallico, anch’esso di quell’azzurro intenso, adibito a sostenere gli zainetti dei ragazzi qualora volessero tenerli sollevati da terra; per noi delle serali sono solo vuoti appendini da cui talvolta pencolano tristemente sacchetti oblunghi, dall’aria sportiva, che supponiamo probabilmente contengano scarpette da ginnastica dimenticate la mattina. Le sedioline fanno pendant con i banchi e riposano ordinatamente nella metà della classe che noi non utilizziamo, silenziosamente ricordandoci di grida e vivaci occhiate, di sudore e concentrazione di menti fresche e allenate, oppure laggiù in quell’angolo lontano ci immaginiamo un piccolo, distratto allievo che si dondola sulle gambe di dietro guardando fuori la giornata che scorre. Al soffitto sono appesi geometricamente quattro elementi di luce al neon, che noi siamo spessissimo costretti ad utilizzare, anche ora che è tornata l’ora legale. I tubi di plastica a vista contenenti i cavi dell’alimentazione scorrono diligenti verso l’esterno, fuggendo alla vista dentro i cunicoli dei muri. Alcune macchie più scure del bianco del soffitto rivelano l’esistenza di listarelle o travi di sostegno, disposte a distanze regolari e scandiscono anche il ritmo delle crepe – lievemente inquietanti – che ci sovrastano cercando invano di mimetizzarsi. La porta di ingresso è lignea grigia triste quasi come quella di una cella, se non che al suo interno sono affissi le mappe e i piani di evacuazione in caso di emergenze. Come è d’obbligo, un cestino per i rifiuti accoglie e saluta più ligio di un portinaio chiunque varchi la soglia dell’aula, canestro di plastica verde ricoperto (elegantemente, bisogna ammettere) dall’abbondante risvolto nero del sacchetto lindo, lucido, appena cambiato.

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